sabato 30 marzo 2013

TI AUGURO TEMPO

Non ti auguro un dono qualsiasi, Ti auguro soltanto quello che i più non hanno. Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa. Ti auguro tempo, per il tuo Fare e il tuo Pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre, ma tempo per essere contento. Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perchè te ne resti: tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull'orologio. Ti auguro tempo per toccare le stelle e tempo per crescere, per maturare. Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare. Non ha più senso rimandare. Ti auguro tempo per trovare te stesso, per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. Ti auguro tempo anche per perdonare. Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

venerdì 29 marzo 2013

SOLI

«Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: «Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo». Avevo diciannove anni, e questa continua a essere la mia filosofia. I miei libri non sono nient’altro che lo sviluppo di questa constatazione». Paul Auster, “Una menzogna quasi vera”

IL SUCCESSO

Il successo non è vincere sempre, il successo è vincere le proprie paure, avendo il coraggio di tentare sempre. Non bisogna dimostrare nulla agli altri, ma solo a se stessi.

giovedì 21 marzo 2013

Gli auguri dell'innocenza

Vedere un Mondo in un granello di sabbia, e un Cielo in un fiore selvatico, tenere l'Infinito nel cavo della mano e l'Eternità in un'ora William Blake

lunedì 18 marzo 2013

IL SISTEMA

Il sistema e’ perfetto cosí com’e’. L’unico che deve cambiare sei tu! Esci dal tumultuoso torrente degli eventi e prendine il controllo. Sii domatore di fiumi. Nell’ accusare il sistema del tuo fallimento lo stai idolatrando, gli stai assegnando i poteri di un Dio, ti inginocchi ai suoi piedi, ti pieghi al suo volere, ne diventi schiavo. In altre parole stai facendo il suo gioco, ne sei complice. Dare la colpa per quanto ti accade a qualcuno che non sei tu, significa trasferire la Forza da te a lui. Il Sistema e’ tarato sul livello di coscienza delle masse. Il cibo, le medicine, le leggi, l’istruzione ….. tutto e’ pensato per gestire la coscienza di massa. Il Sistema e’ perfetto, cosí come l’universo e’ perfetto. La responsabilita’ di uscire dal Sistema e’ solo tua, si trova interamente nelle tue mani, non in quelle del Sistema. Ma se vuoi essere libero devi esserlo rispetto ai tuoi stessi meccanismi interiori, non rispetto a qualcuno che si trova la’ fuori. La fuori ci sono solo le tue proiezioni, i tuoi sogni, i tuoi incubi. Se sei infelice a causa del Sistema, allora il Sistema e’ piu’ forte di te, e se e’ piu’ forte di te non puoi vincerlo. Abbandona la descrizione rovesciata del mondo che viene inculcata sin da tenere eta’ nei cuccioli appartenenti alle masse del pianeta. La causa e’ all’interno e l’effetto e’ all’esterno, non viceversa. Non stai male perche’ il mondo e’ brutto, ma il mondo sembra brutto perche’ tu stai male. Il Sistema di cui sei schiavo vuole fortemente che tu continui a lamentarti di lui e se tu iniziassi a combatterlo sarebbe ancora più’ contento. Nel lamentarti gli riconosci potere. La lamentela e’ la preghiera che gli rivolgi tutti i giorni. Nel lamentarti lo stai pregando come si prega un idolo. ”Divieni re e un regno ti sara’ dato.” di: Remo Gatti

sabato 16 marzo 2013

SENSIBILITA'

Essere una persona sensibile vuol dire percepire un tono di voce distante durante una telefonata, riconoscere l'ansia, la paura e la tristezza nella faccia degli altri. Essere sensibile vuol dire fare caso a tutto, e con "tutto" intendo veramente qualsiasi cosa: un fiore sconfitto dal vento, un cane solo, un colore diverso del cielo, un sorriso più sentito, una parola colorata in mezzo a tante parole anonime. Essere sensibili vuol dire vivere dieci, cento, mille vite ogni giorno. Quando sei sensibile non puoi fregartene, farti gli affari tuoi, lasciar perdere. Chi è sensibile, se sa di aver ferito qualcuno si tortura per ore ed ore pensando alla sensazione che gli ha fatto provare. Chi è sensibile dura una fatica immensa. Si dovrebbe aver cura di chi è sensibile, potrebbe morire per una carezza in meno... (S.Casciani)

martedì 12 marzo 2013

DOMANI

VIVI E LASCIA VIVERE

«Ogni tanto tenta di vivere e basta. Vivi semplicemente. Non lottare e non forzare la vita. Osserva in silenzio ciò che accade. Lascia accadere ciò che accade. Permetti a ciò che è, di esistere. Lascia cadere ogni tensione e lascia che la vita fluisca, che accada. E ciò che accade, te lo garantisco, libera.» Osho

lunedì 11 marzo 2013

Il covo delle Sirene

«Capo di Sorrento» e «Capo di Massa» segnano il confine tra le due capitali della penisola; Sorrento è la capitale del piano, degli aranceti e degli agrumeti e, beata e incantata, attende che la raggiunga il rettifilo delle strade da Meta, da Piano, da Positano; Massa, umile e dimessa, è la capitale degli ulivi. E da Massa, per S. Agata, è un infittirsi di paesini e di borgatelle dai sonanti nomi di predii gentilizi romani, disseminati o aggruppati per clivi e valloncelli che il nastro della strada va a ricercare pazientemente come la mazza del pastore dietro le sue pecore sbandate, fino a Nerano e a Termini che segna, proprio come il dio Termine, la fine del verde e delle case: al di là è il promontorio nudo e pelato del Monte S. Costanzo, che apre la palma della sua mano rocciosa tra la Cala di Mitigliano e la baia di Jèranto. Abbandonai quel giorno i luoghi famosi per ville e residenze celebri dall'antichità fino ad oggi, e mi diressi verso la costa inospite e selvaggia che s'apre fra la marina di Cantone e Positano, incavernata di grotte, con qualche rara borgatella di case rimaste guardinghe in alto sui costoni del Monte Tuoro; discesi alla marina di Crapolla che, con uno spacco nella muraglia delle rupi, s'apre come una fauce innanzi alle isole delle Sirene. Vi si giunge calandosi quasi a capofitto dalle ultime case di Torca, per un vallone che doveva essere un tempo un solo grande querceto; gli ultimi cento metri tra il ciglio della rupe e il mare, si discendono per una gradinata rocciosa da far invidia alla scala fenicia d'Anacapri, a volte e risvolte come il gomitolo d'una matassa; e roccia e gradini sono così lisci e consunti da prender l'opalescenza dell'onice e da far pensare alle cavità che vi ha impresso il piede nudo prensile dei pescatori che salgono e discendono con il carico del pesce. Dove la scaléa finisce e la rupe si rispiana, sono i ruderi d'una badìa dedicata a S. Pietro, sovrastante un tempo l'ingresso della baia come il tempio d'una divinità marina. Crapolla è il covo dei pescatori del mare delle Sirene; da essi, ad onta di qualche dotta etimologia, è fiorito quel sapido nome con la stessa popolaresca forma che si ha in Crapa e Crapile, e da essi è nato il culto di S. Pietro che fu pescatore di Galilea prima di essere pescatore di anime. E la marina di Crapolla sembra esser posta proprio là per servire d'approdo alle isole dei «Galli», alle isole delle Sirene. Basta sporgersi dalla rupe di S. Pietro, per vedersele allineate in rango sulla superficie dell'acqua. Sotto costa lo scoglio dell'Isca, il più fronzuto di cespugli e di piante; a mezzo il tragitto, lo scoglio di Vivàro lavato dalle onde; più oltre, a corona, il gruppo delle Sirenusse. Par quasi che siano uscite dal grembo di quella costa e che debbano entro quel grembo rientrare come una nidiata nel covo. Due delle Sirene più avventurose o più ardite adescatrici di canto, si sono staccate dal branco delle compagne: una, Partenope, è riuscita a toccare le felici spiagge di Napoli; l'altra, Leucosia, è andata a morire raminga, più lontano e più sola, a Punta Licòsa. A stabilire una stretta relazione fra le isole e la costa ci sono i ruderi romani, che di greco non resta altro che quel mitico nome dato dei primi navigatori. Ciascuna di quelle isole ha il suo impianto di abitazione, con una o più cisterne, e un molo d'approdo: e, in fondo all'insenatura di Crapolla, ci sono i resti ancora imponenti di una costruzione che, più che a una villa cacciata nello spacco d'una forra, fanno pensare o a una masseria marittima destinata a raccogliere l'olio degli uliveti di Torca e a rifornire di vettovaglie gli abitatori stabili o periodici di quelle ville sul mare, o piuttosto ad una vera e propria stazione navale per la sicurezza dell'abituale rotta di navigazione verso i porti di Pozzuoli e di Napoli. Nel medioevo, quando Crapolla divenne covo di pirati, e nessun nascondiglio sembrò più adatto per spiare e assaltare le navi che giungevano cariche di mercanzie e di viaggiatori dal porti d'oriente, i monaci della Badia, più che al lusinghiero canto delle Sirene e alle aborrite divinità pagane, dovettero pensare a difendere dai pirati barbareschi i poveri casati di Torca e a venire in soccorso di naufraghi e di scampati. Oggi s'entra nella baia di Crapolla sopra un mare di turchese o d'opale, tra due alte pareti di roccia che si richiudono al fondo in un canalone inaccessibile in mezzo a un groviglio di sterpi. Nè un molo nè un pontile di sbarco: la chiglia s'insabbia nella ghiaia con un fruscìo metallico e le barche gialle azzurre e vermiglie tirate in secco sul greto, una accanto all'altra, sono, la sola cosa viva e smagliante in quell'ombroso speco. Tre magazzini coperti d'un voltone rappresentano tutto l'abitato: potrebbero essere tre cappelle bizantine d'una sperduta isoletta greca, e non sono altro che il dormitorio e l'arsenale dei marinai di Crapolla. Al di fuori attorno a un pozzo che raccoglie l'acqua di quel canalone, c'e una fila di nasse simili a grandi ceste di vimini intrecciate con un'eleganza e un magistero da tessitori di tappeti. Nè una donna, nè un focolare: la vita dei pescatori di Crapolla è ancora quella dei naufraghi delle isole delle Sirene. Amedeo Maiuri, da "Il Giornale", domenica 03/07/1943

venerdì 8 marzo 2013

NON SCIUPARLA

"E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sia in te: non sciuparla nel troppo commercio con la gente con troppe parole in un vivaio frenetico. Non sciuparla portandola in giro in balìa del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti, fino a farne una stucchevole estranea" (C.kavafis)

venerdì 1 marzo 2013

UN PEZZO DI SPECCHIO

Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito: “Ci sono domande?”. Uno studente gli chiese: “Professore, qual è il significato della vita?”. Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise. Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era. “Le risponderò” gli disse. Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta. Poi disse: “Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli. Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza. Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita”. (Bruno Ferrero)